LA METAFISICA DEL SENTIMENTO, O LA DIGNITÀ AMOREVOLE DEGLI AFFETTI
Studio critico “ELEGIA PER LA MADRE” di Adriana Gloria Marigo
Introducendomi nella silloge di Eros Olivotto “Elegia per la madre” con il rispetto che si deve quando ci troviamo di fronte alla sacralità dei sentimenti, a ciò che li lega alla materia del quotidiano che preme e all’altra, rarefatta e spirituale e non meno quotidiana, ho incontrato la parola scabra, essenziale, ripulita da ogni orpello aggettivale e per questo racchiudente in sé mondo altro da quello immediatamente espresso.
Colpisce l’uso asciutto della parola che in questa sua natura secca come profilo di montagna nell’aria vitrea dell’inverno non conclude lo sguardo né il pensiero sulla forma immediata, ma li conduce oltre la visione data, a immaginare e percepire un mondo ultimo, una sostanza condensata e soprastante.
La parola – forma di un poetare consapevole, intenso, ricercato – sostiene un contenuto di lirismo etico importante, porta a intuire che il sentimento pervadente tutta la silloge è il pretesto per esprimere che la metafisica è tutto il reale.
Così - la destinataria della poesia di Olivotto -, la madre – la sua perdita, il senso dell’assenza che mai è abbandono, l’aspetto dolente e notturno di certi versi, tutta una tonalità di sentimenti che declinano sia la presenza materna, sia la perdita irrimediabile - è sì l’ispiratrice delle liriche e il loro termine, ma è anche – in un rimando simbolico – colei che conduce alla conoscenza, traghetta verso la sponda, a territori più vasti e liberi il figlio.
Direi che alla madre di questa silloge si addica bene la lettera maiuscola, poiché il materno che incarna è l’essenza stessa del materno, così da diventare la Madre: con il primo ed evidente connotato che poi ritorna come filo conduttore “ Potessi tornare!// Trovarvi finalmente,/ sapere….//, segno distinto che conferma l’elemento di espansione e tutela presente in ogni donna che fa l’esperienza di madre: “Camminare con voi, //vedervi partire.// Guardarvi, tremando,//raggiungere in salvo la riva.”.
Ogni lirica, nella sua brevità magistrale, conduce a immagini lancinanti, folgorazioni in cui il rapporto madre-figlio si evidenzia come il rapporto per eccellenza, investito del sacro. Così da essere il rapporto Madre-Figlio.
E’ una Madre tridentina, quella del poeta, in cui convergono i caratteri potenti e sacri di Maria che sovrainvestono la donna in quanto madre, così che la figura della madre del poeta denuncia l’identità tra Maria e la Sophia, figura di divina Sapienza, partecipe della divina creazione:
“Talvolta mi chiedo/che forza tu avessi,/perché sorridevi se io,/distogliendo lo sguardo,/ignoravo la tua solitudine.// o, più avanti : “Ora torni,/mentre lasci la stanza,/ogni volta,/segretamente in me.”
Qui si introduce un altro elemento, il Tempo nella sua circolarità numinosa da cui discende il ricordo e l’impossibilità a sottrarsi al suo presentarsi nelle vesti della malinconia che, anche per la silloge di Olivotto, può fregiarsi della definizione di Victor Hugo: « La malinconia è la gioia di sentirsi tristi ».
Ed è nell’ossimoro gioia-tristezza, nella continuità dialettica tra gli opposti, nel dialogo incessante tra contrastanti sentimenti, nella circolarità in cui ciò che viene a mancare si fa presenza quale manifestazione elevata, sacra, del sentimento per la vita che consiste la devozione del Figlio per la Madre, in quel verso dell’ultima lirica, sigillo del divino nell’uomo: “Come quando,/nella luce fredda del tramonto,/mi hai detto credi,/altrimenti nulla avrà mai senso.// che chiude la circolarità del divino nel paesaggio: “Tenevo stretto Dio/nel palmo della mano:/l’estate, le siepi,/ i platani ondeggianti,/le strade nella luce,/la furia dei torrenti.”
Adriana Gloria Marigo