Annamaria Eccli: da “Il trentino”, mercoledì 18 Maggio 2016.
“Il senso di Dio”, l'ultimo libro di Eros Olivotto. Cinquanta pagine veloci, a tratti apertamente autobiografiche, per riproporre con veste nuova la domanda mai sopita, nonostante tutto: è ancora possibile la fede per l'uomo moderno?
Avulsi dalle ingenuità da sacrestia, siamo caduti in un'altra grande ingenuità: pensare di possedere il passepartout per penetrare l'ordine delle cose. Eppure c'è un desiderio di trascendenza, nell'animo umano, che confligge con l'ordine razionale. Olivotto, allora, si chiede se esista la possibilità di un sapere intuitivo, caldo, che la fiducia esasperata nella ragione oscura. I poeti come lui, conoscono da sempre la risposta,
ma è interessante notare come, oggi, l'illuminazione, acritica perché sfugge all'ordine razionale, sia riconosciuta anche dallo scienziato come incipit per paradigmi che rappresentano pur sempre chiavi interpretative di una realtà molto complessa, sfuggente, misteriosa. Olivotto si chiede, allora, se la logica rappresenti davvero l'unica forma di sapere attendibile e lo fa con la levità, la ricchezza e la ragionevolezza di chi ha ottime letture alle spalle; rivisita lo statuto d'una modernità positivista, le cui conquiste hanno allontanato dalla coscienza del divino, ma che, pure, non rinuncia a volgere lo sguardo all'universo misterioso e sovversivo dell'arte, ai paradossi illuminanti e inquietanti della poesia, alla ricerca di altri “perché“ dei fatti, capaci di forzare, fino a scardinarle, le porte dell'indicibile. Un sentimento religioso la cui trama non cessa di correre nemmeno tra le fibre dell'ateo sprezzante: “L'assenza di Dio è l'espressione di una religiosità profonda” sostiene. Dostoevskjj,
Tagore, il poeta uruguaiano Mario Benedetti diventano le guide di Olivotto per la ricerca di un “metodo” possibile della fede, dopo il paradosso kantiano che ha segnalato come non possa esistere una scienza del divino se l'oggetto di tale scienza è per sua stessa natura misterioso. A cosa approdi l'autore, lo lasciamo scoprire al lettore, basti qui dire che Olivotto trova gli strumenti per penetrare la dimensione sacra della realtà in quell'interiorità che rende l'uomo capace di sospendere il giudizio, di perdonare, di fidarsi, di affidarsi, d'essere empatico. La relazione con l'altro diventa la cartina tornasole del rapporto col senso del divino. L'autore sostiene, guarda caso, che si giudicano gli altri per assolvere se stessi; in psicologia il fenomeno è noto come “bias edonico”. E' la scorciatoia che prende il cervello quando mente a se stesso, quando devia dalla ricerca del senso profondo delle proprie azioni per fissarsi su quelle degli altri. E' questo l'uomo che stigmatizza, giudica, non perdona, riflette sugli altri le proprie colpe, ignorando che, ciò facendo, alla propria parte più profonda, quella che conosce i propri limiti, non resta che riconfermare il giudizio malevolo che già nutre di sé. Il bias edonico può diventare l'unico, pericoloso appiglio per una psiche che rinunci alla ricerca di un senso “altro”; diventa la morbidissima culla velenosa di tante patologie moderne e antiche.