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 ViaCialdini: Rivista di Arte e Cultura - Gennaio 2018 - Eros Olivotto, Il Senso di Dio: “La fede è un viaggio, un cammino”   
di Alessandro Ramberti
 
 
Scorrevolissimo e al contempo denso e intrigante questo saggio di Eros Olivotto, poeta e pensatore di grande respiro e profondità. È una indagine sull’uomo moderno che pare aver allontanato il senso del divino e del mistero: «Anche l’arte sembra aver rinunciato a cogliere le tracce del divino, che pure ci abita, e a rappresentarne la bellezza. Così come un certo atteggiamento della letteratura…» (p. 7).
 
Eros invece ne ha fatto esperienza: «Era estate e stavo leggendo da solo sul poggiolo di casa, quando avvertii la pressione di una mano che, facendo forza contro il mento, sollevava il mio sguardo sul crocifisso. (…) Non facevo che ripetere il nome di quel Dio che d’improvviso si era chinato su di me, riconoscendomi» (p. 11).
 
Dopo avere analizzato la poesia Assenza di Dio di Mario Benedetti, il Nostro scrive: «È un viaggio, la fede, un cammino durante il quale l’individuo (…) vedrà mutare i propri valori e le proprie certezze fino al punto da sentirsi chiamato in causa, in una perentoria assunzione di responsabilità» (p. 15). La fede “si attiva” per grazia «qui intesa come l’intuizione della possibilità di Dio, che, legata a degli episodi concreti, consente all’uomo, ogni uomo, di avvertire la presenza del divino dentro di sé, negli altri e nelle cose. Egli deciderà poi se (…) credere o meno a ciò che né ragione né scienza potranno mai dimostrare con certezza» (p. 15). La fede crea in noi un vuoto, ci mette in cammino, ci spinge a lasciare qualcosa «perché possiamo “essere”. Essere attraverso le nostre scelte. Eticamente» (p. 17).
 
Quali ostacoli abbiamo le nostre paure, il problema del male (legato solo in parte alla questione del libero arbitrio) «come può Dio, un essere di grazia e di amore, rimanere impassibile di fronte al dolore di chi non è minimamente responsabile della sofferenza che si trova a dover affrontare?» (p. 23).
 
Eros suggerisce una riposta non intellettualistica, ma fattiva: «farsi carico della sofferenza fino a viverla, renderla propria, alleviando il dolore di chi ci sta accanto» (p. 24); «È significativo come Gesù non spieghi il male, per quanto lotti incessantemente contro di esso; (…) Ciò che vuole è sradicare la sofferenza fisica e morale dalle persone (…). Allo stesso modo, con la sua morte, attribuisce un valore alla sofferenza, che si rivela uno strumento di redenzione e riscatto» (p. 25).
 
Sulle orme di Giobbe e del Qoèlet siamo invitati a purificare la nostra fede svincolandola «da ogni idea di ingiustizia o mancata retribuzione» (p. 31) perché «quanto è in grado di legarci a Dio in maniera vitale è qualcosa che ha a che fare con la parte più nascosta di noi che, sopraffatta, vive una presenza misteriosa» (p. 39); «… se le forze vengono meno e la volontà vacilla, affiora la necessità di riferirsi a qualcuno che sia capace di restituire un significato alla nostra pena (p. 43); «Forse per questo la mistica indica nella malattia, che muta il rapporto dell’individuo con la realtà, uno stato che può favorire l’incontro con Dio» (p. 44).
 
Per entrare in relazione con questo Dio nascosto eppure miseriosamente presente in ogni persona, l’uomo prega non solo a parole ma mettendo in atto «il rispetto, ad esempio, la solidarietà verso chi è sconfitto, la forza di non giudicare, la capacità di non pretendere» perché «la preghiera non possa venire disgiunta dall’atteggiamento della cura (…). L’uomo orientato verso Dio prega e lo fa attraverso le proprie azioni, la propria maniera di essere, di sentire, di rapportarsi al mondo» (p. 46).
 Il testo si conclude con bellissimi versi che sono un autentico salmo: lasciamo al lettore la curiosità di leggerli integralmente alla fine di questo utilissimo e avvincente vademecum per ogni uomo che si interroga sul senso del suo andare. (  http://narrabilando.blogspot.it/   )


Alessandro Ramberti




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