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Della poesia di Eros Olivotto, del poeta e dell’uomo entrambi vivamente singolari, si era già fatto un parlare qualche anno fa, quando era uscita la sua prima raccolta, Sipari, a cura della Perosini Editore in una fortunata collana di grande pregio, che comprendeva nomi significativi, uno per tutti quello di Umberto Bellintani, e che aveva dato luogo a vere e proprie rarità bibliografiche, trascurate dalla grande editoria. La raccolta non era dunque passata sotto silenzio ma era stata notata da letterati, poeti e lettori di poesia, nell’ambito cioè, come si intende, di appassionati e addetti ai lavori. Si erano allora individuati, nella critica più attenta, alcuni temi fondamentali della poesia di Olivotto nella fedeltà ai luoghi, alle cose e alle memorie, ma si era visto principalmente nel tema del tempo un leit motiv ricorrente e, con buona pace degli altri, il più pregnante. Quasi a confermare quanto di vero e di buono aveva saputo cogliere e additare l’analisi testuale del precedente lavoro, Olivotto fa uscire adesso un nuovo mannello di poesie in cui ritorna con vigore rinnovato sullo stesso tema, con l’evidente obiettivo di approfondirne e di dilatarne gli aspetti più riposti e mutevoli. Questa la sua sfida. Va detto peraltro, a sgomberare il campo da ogni possibile fraintendimento, che l’argomento, essenzialmente poetico, giustifica ampiamente lo spazio che ha occupato e che continua a occupare in poesia, come il corrispondente interessante che vi dedica un gran numero di autori. Non fa dunque meraviglia che sia al centro o, per meglio dire, informi di sé una gran parte della poesia di Olivotto. L’opera è preceduta in exergo da una breve lirica o libera meditazione sul tempo, quasi alla maniera di una invocazione alla Musa, come doveva apparire tradizionalmente nei testi classici:
Come se il tempo,
compagno paziente,
schiudesse un istante le dita
premute sulla mia spalla.
Ed io, senza guida,
velato oltre il fondo,
alfine scorgessi
ciò che non muta,
quanto permane.
Si vorrà notare il lemma “istante”, evidentemente non casuale, che ricorre nel contesto e che darà il titolo alla poesia di pagina 36 e all’intera raccolta. Ma preme adesso rilevare la grande affabilità che la caratterizza, la continua e fraterna disponibilità del nostro autore al colloquio, alla comprensione delle ragioni “altre”. Un’aria amichevole, qualcosa di rassicurante e famigliare circola in queste pagine e forse ne segna un passo in avanti rispetto all’opera prima, una miglior comprensione e piena consapevolezza. Ne aveva già dato conto nel testo Ogni istante:
Ogni volto lo stesso volto,
ogni cielo,
lo stesso cielo.
Nulla,
che non sia stato.
[…]
Ogni luogo, ogni voce,
i gesti cauti degli addii,
tutti i ritorni.
Ogni istante lo stesso istante.
Nulla,
che non sia stato.
Giampiero Neri