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Il racconto di Eros Olivotto vuole rappresentare l’itinerario di un viaggio interiore, il viaggio psicologico di Anna, alla ricerca di sé e del senso della propria esistenza.
Anna attraversa i sentimenti, percorre i sentieri del dolore e delle delusioni, rendendosi conto alla fine di star inseguendo il tempo come dimensione della coscienza e cioè insieme del pensiero e delle relazioni.
“Il tempo” sospirò Anna, abbassando le palpebre. “Ordinato e fluente, di norma perfettamente osservabile, definibile, tutt’a un tratto si sgretola, frantumandosi in un’infinità di attimi slegati, sparsi, immobili.” Si ravviò i capelli con un gesto nervoso. “E quando questo accade, ciò che affiora è il senso profondo di un’assenza precisa, che si insinua nei fatti, nelle cose.” (…)
“La piega leggera all’angolo della tua bocca” spiegò Marco, con un gesto distratto “c’è tutto il tuo tempo racchiuso in essa, la tua storia. (…) Così come c’è una dimensione magica, nel tempo” continuò lui a voce bassissima “segreta: un piccolo centro in cui confluiscono e coesistono passato, presente e futuro, e dove il tempo cessa di essere una semplice serie di istanti scanditi in modo netto, preciso. (…) “In essa” continuò Marco come non avesse sentito “a ognuno è dato misteriosamente di tornare a essere soltanto ciò che è.”
In poche righe Olivotto condensa tanti fiumi di profonde riflessioni filosofiche, da Agostino di Ippona a Husserl, e lo fa senza concettuosità, conducendoci per mano a fianco di Anna, vera e propria cartina tornasole di tensioni, di drammi, di storie affettive con trasparente fragilità, ma anche con autonoma determinazione.
Dentro il viaggio di Anna c’è l’amore e la frattura di esso, c’è la morte (del figlio e della madre) e il moto che essa suscita sia a livello fisico sia a livello di senso. C’è tanto dolore nei gesti e nel cuore di Anna, e forse per capirlo, fuori di ogni retorica, ci possono servire le parole di Heidegger. “Il dolore spezza, è lo spezzamento (…) Il dolore, sì, spezza, divide, però in modo che anche insieme tutto attira a sé, raccoglie in sé. Il suo spezzare, in quanto dividere che riunisce, è al tempo stesso quel trascinare, teso in opposte direzioni, che diversifica e congiunge ciò che nello stacco è tenuto distinto. Il dolore è ciò che congiunge nello spezzamento, che divide e che aduna. Il dolore è la connessura dello strappo."
Ma Anna è prima di tutto una donna, nel senso che passa attraverso il tempo, attraverso il dolore portando con sé la sua differenza, per la quale non a caso è spesso incompresa dagli amici dell’altro sesso. Questo in fondo è un tema trasversale a tutte le pagine di Nonostante tutto.
Anna si trova al di qua o al di là della soglia; vuole pensare, capire, e nello stesso tempo vuole dare spazio, fino a farsene riempire, ai sentimenti, mentre i suoi interlocutori non riescono a sintonizzarsi sulla sua lunghezza d’onda, nel senso che non riescono a dialogare o meglio a entrare in sintonia con la sua permanente esigenza di totalità.
Anna non è una donna dolce e tenera; è alla ricerca della dolcezza e della tenerezza e non riesce a sostare placata, mai.
Anche la scrittura di Eros Olivotto assomiglia ad Anna: è piana, pulita, quasi distesa in tono semicolloquiale, ma non riesce a raggiungere una tranquillità interna, svolta in continuazione, tende verso nuove direzioni, appunto non riesce a sostare.
La scrittura di Olivotto è capace di interpretare la differenza di Anna, non perché si faccia carico ideologicamente o culturalmente di essa, ma perché sa dare forma con nitidezza alle contraddizioni dell’esperienza umana e in particolare a quelle di una donna matura, autonoma e cosciente.
E’ una scrittura leggera, mai invadente; è una scrittura lucida, mai cerebrale. E’ un linguaggio che si ripromette a ogni passo ispezione, rilevamento, conoscenza.
“Il linguaggio” scrive Sartre “è il nostro guscio e le nostre antenne, ci protegge contro gli altri e ci informa su di loro, è un prolungamento dei nostri sensi. Siamo dentro il linguaggio come dentro il nostro corpo; lo sentiamo spontaneamente, superandolo diretti verso altri fini, come sentiamo le nostre mani e i nostri piedi; lo percepiamo, quando sono altri a usarlo, così come percepiamo le membra degli altri. Una parola, la si può vivere o incontrare”.
Per Olivotto si può dire che le antenne prevalgano nettamente sul guscio, che la ricerca prevale su un uso rassicurante e protettivo del linguaggio, pur senza abbracciarne dimensioni sperimentali.
“Ho sempre cercato la ragione dei fatti” continuò Anna “ ma ora le cose non sono più le stesse. E’ come le regole fossero cambiate… io, il mio lavoro, gli altri…”
Anna è fatta così, vuole sempre capire, con tutta se stessa, e così è fatta anche la scrittura di Olivotto, è protesa alla comprensione di sé e del mondo.
Mario Cossali